Libertà di stampa: tra querele e riforme alla Rai, alcuni giornalisti temono l’atteggiamento del governo Meloni

In seguito alla pubblicazione di due rapporti critici, tre esperti discutono i rischi affrontati dai giornalisti italiani
Fotografia di quotidiani in un distributore automatico.

Quotidiani italiani in un distributore automatico. REUTERS/Remo Casilli

28th October 2024

In vista della Festa della Liberazione del 25 aprile, lo scrittore pluripremiato Antonio Scurati, autore di un romanzo-documentario su Mussolini e l'ascesa del fascismo, si sta preparando a leggere un monologo televisivo scritto per l’occasione. Ma la sua apparizione sul programma 'Che sarà…' di Rai3 non avrà luogo: all'ultimo minuto sarà cancellata. 

Il perché non è chiaro. I dirigenti Rai affermano che la ragione è un disaccordo economico. Serena Bortone, la presentatrice del programma, scrive su Instagram di “non essere riuscita a ottenere spiegazioni plausibili” e lo stesso scrittore nega con forza le voci che dicono che l’annullamento del contratto è a causa di un mancato accordo sul compenso. Bortone legge in onda il monologo previsto, da sola. Il testo è molto critico nei confronti del Presidente del Consiglio, ricordando le radici neofasciste di Fratelli d’Italia. 

Una nota interna della Rai pubblicata da Repubblica sottolinea che il contratto è stato annullato per “motivi editoriali”. La Rai e il governo negano le accuse di censura e Meloni pubblica il testo del monologo sul suo profilo Facebook ufficiale. Ma la Rai sospende Bortone per sei giorni per aver violato il vincolo di riservatezza dell'emittente.

Ormai nota come “il caso Scurati”, la vicenda ha suscitato nuove preoccupazioni sull’indebolimento della libertà di stampa in Italia. Alcuni giornalisti lanciavano già l'allarme da mesi. La questione è diventata ancora più nota a luglio con la pubblicazione di due rapporti: uno dell'osservatorio sulla libertà dei media Media Freedom Rapid Response (Mfrr) e la relazione annuale sullo Stato di diritto della Commissione europea, un documento che analizza le evoluzioni in ogni Stato membro del sistema giudiziario, il quadro anticorruzione, il pluralismo e la libertà dei media e il sistema di bilanciamento dei poteri.

Entrambi i rapporti evidenziano preoccupazioni suscitate da minacce ai giornalisti effettuate per vie legali e criticano il sistema di governance della Rai.

Nell'Indice della libertà di stampa pubblicato a maggio, Reporter senza frontiere (Rsf) colloca l'Italia al 46° posto su 180 Paesi nel 2023. Si tratta di un calo di cinque posizioni rispetto all'anno precedente. Ma è importante sottolineare che il Paese ha ancora un ambiente mediatico diversificato ed è relativamente sicuro per i giornalisti. Finora, quest'anno, nessun giornalista è stato ucciso o imprigionato. 

Eppure ci sono segnali di una potenziale deriva verso un arretramento democratico, stimolata da azioni governative che potrebbero creare un futuro meno pluralistico per i media italiani. Ho parlato con Francesca De Benedetti, giornalista del quotidiano progressista Domani, Gianni Riotta, giornalista e accademico di grande esperienza, e Renate Schroeder, direttrice della Federazione europea dei giornalisti (Efj), per discutere dello stato attuale della libertà di stampa nel Paese e del suo futuro.

Chi governa la Rai?

La Rai è una delle maggiori emittenti pubbliche in Europa e svolge un ruolo importante nell'identità di un Paese per cui la televisione è ancora una fonte significativa di notizie. 

Secondo il Digital News Report 2024, i canali televisivi della Rai sono ancora la fonte di notizie offline più popolare nel Paese. Inoltre, l'emittente si colloca al sesto posto tra le fonti online più popolari. Ha la fiducia del 58% degli italiani e la sfiducia del 20%. In Italia, la TV è la seconda fonte di notizie più popolare, subito dopo le fonti online. Da un'ulteriore analisi dei nostri partner, pubblicata nel Digital News Report Italia, è emerso che la maggior parte degli italiani di centro-destra e di destra utilizza la TV come fonte principale di notizie e che coloro che si autocollocano al centro dello spettro politico si fidano di più della Rai rispetto alle persone che si trovano ai due estremi di destra e sinistra. 

Come spiega il rapporto Mfrr, la Rai è sempre stata controllata in qualche misura dai partiti politici. I partiti al governo avevano già una notevole influenza nella scelta dei membri del Consiglio di amministrazione prima che Meloni diventasse premier. Tuttavia, le nomine all'emittente del governo Meloni sono state definite dai sindacati “un’inedita occupazione del servizio pubblico”. In un’intervista a Giovanna Vitale di Repubblica, il presidente della Federazione nazionale della stampa Vittorio di Trapani ne ha sottolineato la “modalità e dimensioni”, indicando la sostituzione a metà mandato dell'amministratore delegato della Rai e successivamente della maggior parte dei direttori di testata.

Carlo Fuortes si è dimesso dalla carica di Ad della Rai a maggio 2023, ben prima della scadenza del suo mandato, citando uno “scontro politico” e sottolineando di non poter accettare cambiamenti editoriali e “una programmazione che non considero nell'interesse della Rai”. Al suo posto è subentrato Roberto Sergio, già direttore di Rai Radio. Poi, il 1° ottobre, è stato annunciato un nuovo Consiglio di amministrazione, Sergio ha scambiato ruoli con il direttore generale della Rai Giampaolo Rossi, e quest’ultimo ha assunto la carica di Ad con il sostegno di Fratelli d'Italia.

“Un'intrusione senza precedenti”

“C'è nella cultura della destra italiana ex Movimento Sociale Italiano il pregiudizio che i media mainstream abbiano una opinione negativa di chi proviene dalle formazioni neofasciste,” ha detto Gianni Riotta, ex direttore de Il Sole 24 Ore e del Tg1 Rai. Oggi Riotta scrive per La Stampa e ricopre diversi ruoli accademici. 

“I media di destra sognano di ribaltare la presunta ‘egemonia culturale della sinistra’, mito antico in un paese governato per mezzo secolo dalla Democrazia Cristiana e per 20 anni da Berlusconi… Italia è paese moderato, non di sinistra”, ha detto Riotta.“L'uscita dalla Rai di bravi professionisti non è stata positiva”, ha aggiunto.

“Non c'è mai stata una tale intrusione nella linea editoriale” della Rai, ha detto Renate Schroeder, direttrice della Efj (Federazione europea dei giornalisti) a proposito del caso Scurati. 

L'Efj è uno dei partner del Mfrr e Schroeder faceva parte della missione urgente che il gruppo ha inviato in Italia. Originariamente si trattava di una visita di routine prevista per ottobre, ma è stata anticipata a maggio a richiesta della Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) e dell’Unione Sindacale Giornalisti Rai (Usigrai). La delegazione ha incontrato formalmente 36 persone, tra cui rappresentanti istituzionali, leader sindacali e giornalisti.

Il rapporto Mfrr fa riferimento anche alla cancellazione di un programma del 2023 condotto dal giornalista e scrittore Roberto Saviano, ‘Insider - Faccia a faccia con il crimine’. Saviano aveva definito Matteo Salvini “Ministro della Mala Vita” in un post social. Roberto Sergio, allora Ad, descrisse l’esclusione del programma come “scelta aziendale, non politica.” Il programma è stato poi ripristinato e trasmesso su Rai3 a settembre.

La legge contro i giornalisti

Uno degli avvertimenti principali sollevati nei due rapporti riguarda il ricorso all'intimidazione legale contro i giornalisti. L’osservatorio Mfrr registra ‘allarmi’ ogni volta che la libertà dei media viene compromessa nell’Unione europea. Quasi un terzo dei 141 episodi elencati da Mfrr in Italia lo scorso anno sono incidenti legali  che coinvolgono giornalisti o organi di stampa, da denunce a condanne. 

La diffamazione è un reato penale in Italia. Una legge del 1948 la rese punibile con una pena detentiva fino a sei anni se “commessa col mezzo della stampa.” Questa sanzione fu successivamente estesa a comprendere anche diffamazione commessa per mezzo della radio, della televisione e di Internet. Nel 2021 la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali le pene detentive per questo reato, salvo per casi eccezionali. 

Alcuni degli incidenti legali registrati da Mfrr coinvolgono membri dell'attuale governo. In un caso recente, il ministro Giovanbattista Fazzolari ha annunciato che avrebbe presentato una denuncia contro il quotidiano progressista Domani per un articolo su dei presunti suoi rapporti con una società di lobbying. 

L’annuncio di Fazzolari non è il primo scontro tra il sottosegretario e Domani: a febbraio ha fatto causa contro il giornale. E non è l’unico membro del governo ad aver minacciato azioni legali contro Domani: lo hanno fatto anche il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti e il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon.

Un giornale preso di mira

Denunce simili sono state presentate contro la rivista progressista L'Espresso e il programma d'inchiesta Rai Report. Tuttavia, Domani è stato ripetutamente minacciato di azioni legali. Giorgia Meloni stessa avviò una causa per diffamazione contro i direttori, Stefano Feltri ed Emiliano Fittipaldi.

I problemi legali del giornale iniziarono a ottobre 2021, quando Meloni presentò una querela per un articolo che suggeriva che lei avesse aiutato Domenico Arcuri, ex commissario straordinario all’emergenza Covid, a vincere contratti governativi durante la pandemia. All'epoca Meloni non era ancora Presidente del Consiglio e il suo partito era in minoranza. Meloni è entrata in Palazzo Chigi a ottobre 2022 e ha ritirato la querela solo a luglio 2024.

Domani è un quotidiano fondato nel 2020 da un ex editore di Repubblica e spesso tocca “alcuni temi che potremmo attribuire all'area progressista, perché nasciamo come un giornale attento ai temi delle disuguaglianze, attento al tema climatico”, ha detto Francesca De Benedetti, senior editor del giornale e fellow dell'Istituto per le Scienze Umane (Institute for Human Sciences o IWM) di Vienna. 

L'idea iniziale era quella di un giornale esclusivamente online, ma la versione cartacea era necessaria per raggiungere i gruppi demografici più anziani, ha spiegato De Benedetti. Tuttavia, il modello di business si concentra sugli abbonamenti online.

De Benedetti sottolinea il ruolo del team investigativo di Domani, che comprende Fittipaldi e gli esperti reporter Giovanni Tizian e Stefano Vergine. “Siamo già posti al centro delle attenzioni del governo, perché ci sono alcuni dei giornalisti d'inchiesta più importanti del paese”, ha dichiarato. I giornalisti di questo team hanno svolto inchieste su storie di grande impatto come il caso di Emanuela Orlandi, su temi legati alla criminalità organizzata e ai gruppi politici estremisti e su questioni politiche come i presunti legami tra la Lega e la Russia. 

A marzo 2023, la causa avviata dal sottosegretario Durigon portò i carabinieri alla porta della redazione di Domani. I carabinieri avevano un’ordine di ‘sequestro’ di un articolo scritto da due giornalisti d’inchiesta. Il pezzo, disponibile online ma a pagamento, era stato oggetto della denuncia per diffamazione di Durigon, ma non risultava allegato, il che spinse i carabinieri a recarsi in redazione, dove l’articolo fu stampato. Il caso attirò attenzione significativa a livello europeo: fu denunciato attraverso una dichiarazione dell'Mfrr, una domanda alla Commissione europea da parte dell'europarlamentare olandese Sophia in 't Veld e fu trattato nell'autorevole newsletter di Politico, Brussels Playbook. Due settimane dopo la visita dei carabinieri, la Procura di Roma revocò il sequestro.

Non è solo la politica a presentare denunce contro i giornali. Ci sono stati casi di grandi aziende che hanno fatto lo stesso. Ad esempio, nel 2021 la multinazionale dell'energia Eni chiese 100.000 euro a Domani per non querelare per diffamazione in relazione a un articolo. Le grandi aziende hanno sempre avuto una forte influenza sui media italiani, da inserzionisti e spesso anche da azionisti di gruppi mediatici.

La risposta del governo

I membri della coalizione al governo hanno rifiutato di incontrare la delegazione del Mfrr durante la missione in Italia di maggio. 

“La nostra intenzione era di parlare con il governo di queste questioni e di stabilire un dialogo costruttivo,” ha detto Schroeder. “Abbiamo incontrato alcuni membri dell'opposizione. Abbiamo incontrato anche [la senatrice Barbara Floridia, presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza Rai], ma non abbiamo incontrato nessuno dal partito di governo”. I rappresentanti contattati da Mfrr non hanno risposto alle richieste di incontro dell’organizzazione o hanno detto di non avere tempo per incontrare la delegazione.

Il governo non ha risposto alla richiesta di commento che ho inviato durante la stesura di questo articolo.

In risposta alla relazione sullo Stato di diritto, Meloni ha scritto una lettera alla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Ha affermato che il contenuto del rapporto “è stato distorto a uso politico”.

Quando il rapporto Mfrr è stato pubblicato, alcuni giornali politicamente vicini alla destra hanno definito i giornalisti incontrati dalla delegazione “giornalisti anti-Meloni” che “hanno dipinto l'Italia come un Paese autoritario”.

In risposta a domande di giornalisti, Meloni ha affermato che gli aspetti critici della relazione della Commissione provengono da “portatori di interesse” piuttosto che dalla Commissione stessa, e ha citato Domani, Il Fatto Quotidiano e Repubblica come alcune di queste fonti. Le sue parole hanno ulteriormente allarmato alcuni giornalisti e sostenitori della libertà di stampa.

Schroeder nega con forza qualsiasi suggerimento che il rapporto Mfrr è stato condizionato da pregiudizi contro la politica di destra. Sottolinea il sistema di monitoraggio del Mfrr e afferma che il documento non è nato da un ideologia ma dalle prove.

“Facciamo un monitoraggio molto serio, con diverse parti coinvolte”, ha detto, sottolineando che l'Mfrr si concentra sulla raccolta dei fatti.

Alcuni giornalisti in Italia devono affrontare anche altre forme di intimidazione, come attacchi fisici, minacce e molestie verbali, spesso da parte di gruppi estremisti o della criminalità organizzata. Alcuni giornalisti di alto profilo, tra cui Roberto Saviano, sono sotto protezione. 

De Benedetti teme che il discredito subito dai suoi colleghi giornalisti d’inchiesta, alcuni dei quali sono stati sotto protezione, possa metterli ulteriormente in pericolo. 

“È una situazione molto rischiosa”, ha detto. “Noi che siamo vittime di questi attacchi veniamo descritti come aggressori, veniamo esposti come i nemici di Meloni e nemici della Patria”. 

Molti dei giornalisti le cui esperienze hanno informato il rapporto dell'Mfrr, tra cui De Benedetti, sono stati presi di mira online. De Benedetti ha raccontato gli scontri di Domani con il governo sul suo account X, descrivendo alcuni degli incidenti, a volte in inglese, e scrivendo articoli su di essi per il suo giornale e altre testate. De Benedetti ha ricevuto “messaggi violenti e sessisti” ed è preoccupata per il modo in cui l'ostilità del governo sta screditando i giornalisti e il loro lavoro. 

Quanto è grave la situazione? 

Riotta individua un indebolimento generale dell'ecosistema informativo piuttosto che un piano calcolato per attaccare la libertà dei media.

“Non credo a un piano o una regia occulta, ma nella crescente debolezza dei media mainstream, e nel dilagare della disinformazione online,” ha dichiarato. “Quando dal governo si ripetono cliché su Russia, pandemia, economia, Ucraina, il risultato è grave.”

“La stampa italiana ha una esigua tradizione di equanimità e fairness,” ha aggiunto Riotta. “Si vive partigiana, faziosa, e i social media, a destra e sinistra, hanno aizzato questa tendenza fino al paradosso.”

Secondo il Digital News Report 2022, l’ultimo anno per cui questo dato è disponibile, solo il 13% degli italiani ritiene che i media siano indipendenti da influenze indebite da parte del governo e della politica, una delle percentuali più basse tra i Paesi coperti dal nostro rapporto. 

Pur non ritenendo eccessivamente allarmistico essere preoccupati per il futuro della libertà di stampa in Italia, Riotta sottolinea anche il potere duraturo dei media tradizionali. Cita l'esempio del recente scandalo che ha coinvolto Gennaro Sangiuliano, ex ministro della Cultura. 

“Preoccuparsi è utile ma guardi il caso del ministro Sangiuliano, un’intervista al Tg1, record di 15 minuti e il palinsesto ribaltato per lui non l’hanno salvato,” ha detto Riotta.

Alla domanda sul futuro del giornalismo in Italia, Riotta ha risposto che lo vede “oscuro, come dappertutto”, anche a causa dell’adesione lenta dei media italiani alle nuove tecnologie.

Nonostante alcuni esempi di successo di testate digital-first come Il Post e Fanpage.it, molte redazioni hanno tardato a passare al digitale e alcuni giornali storici hanno ancora un team che produce contenuti per le edizioni online separatamente dal resto della redazione. 

“In Italia siamo partiti tardi sul web journalism, data journalism e ora AI. Non è questione di destra o sinistra ma di una tara culturale luddista e anti tech,” ha detto Riotta.

La nuova legislazione europea

L'European Media Freedom Act (Emfa), una normativa entrata in vigore a maggio in tutti i Paesi dell'Unione europea, potrebbe cambiare le cose anche in Italia. 

Il rapporto Mfrr sostiene che le norme che regolano la Rai sono “fondamentalmente contrarie” a questa legge, in quanto uno dei suoi obiettivi è garantire il funzionamento indipendente dei media del servizio pubblico. Gli Stati membri hanno tempo fino ad agosto 2025 per applicare le nuove norme. 

Per quanto riguarda la relazione sullo Stato di diritto, i prossimi passi della Commissione europea nel cosiddetto meccanismo dello Stato di diritto sono il monitoraggio della risposta dell'Italia alle sue raccomandazioni e il proseguimento del dialogo. In caso di persistente inadempienza, la Commissione può avviare procedure di infrazione. L'articolo 7 del Trattato UE consentirebbe all'Unione di applicare prima misure preventive e, in casi molto gravi, sanzioni contro il Paese.

“Per noi è molto importante far adottare l'Emfa e cambiare la legge. In caso contrario, speriamo che la Commissione europea utilizzi la sua capacità di applicazione”, ha dichiarato Schroeder. “È molto difficile per l'Italia farlo da sola. Abbiamo davvero bisogno della Commissione europea. Abbiamo bisogno che il meccanismo dello Stato di diritto venga preso sul serio”.

Non è solo l'Italia a trovarsi in questa situazione. Schroeder e i suoi colleghi stanno osservando situazioni simili in tutta Europa.

A settembre, Mfrr ha condotto una missione conoscitiva online in Croazia, che sta incontrando problemi di libertà di stampa, tra cui l'indipendenza della sua autorità per i media, la trasparenza nella proprietà dei media e l'attuazione delle leggi per proteggere la libertà di stampa, ha detto Schroeder. Anche la Grecia e la Slovacchia stanno seguendo un percorso simile. Schroeder ha concluso: “Abbiamo problemi in molti Paesi. C'è molto da fare”. 

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in inglese.

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